Un fine settimana da talpa
Saliti a Monti Acqua, Giulio entra in fibrillazione per il semplice fatto di essere ritornato lì dopo diverso tempo e non può fare a meno di rimettere piede alle Quarziti. Dopo circa un’ora riprendiamo il cammino proseguendo lungo il sentiero che ci conduce in prossimità di un bel costone roccioso. Inizia la cerca: come martore impazzite del bengala ci dividiamo in gruppetti. Chi va verso il basso, chi verso l’alto, alcuni mangiano altri dormicchiano. Nel tripudio di tutine colorate vaganti tra la macchia, mi trovo di fronte ad un bel anfratto. Mi si accende la spia del sesto senso e lampeggia pure quella del giovane speleologo culone (nel senso di baciato dalla fortuna). “Va bè, ce provo!” Metto la mano nel pertugio…”Bagna, vieni un attimo! A me sembra che ci sia un po’ d’aria”. Lascio spazio a chi ha decisamente più esperienza di me. Marcello si infila e conferma la mia supposizione. Ora, o siamo stati colti entrambi dal morbo del soffione allucinogeno o c’era veramente qualche circolazione d’aria. Parte la prova dell’accendino. Cik…la fiamma tremolante si piega verso l’apertura in una sorta di inchino alla regina e poco dopo si spegne. EVVVAIIIII!!! Non eravamo in preda a nessuna allucinazione! Tentiamo di entrare ma il pertugio è veramente stretto…non si passa minimamente.Arrivano i rinforzi. Giulio non perde tempo e butta giù la ricetta per il lavoro di scavo, che consiste in una dose massiccia di palanchino, da somministrare prima, durante e dopo i pasti, svirgolate di massetta sei volte al dì e, in caso di effetti non visibili entro le 48 ore, eliminazione del male alla radice mediante trapanate dii ferragosto con applicazioni di digger (consultare lo specialista prima di procedere con la cura). Ci fidiamo ciecamente della diagnosi e della profilassi definita e rimandiamo il tutto alla settimana successiva. E così accade. Il sabato seguente, non resistendo alla curiosità di scoprire cosa riservava quel promettente buco, ci dirigiamo in 7 (Giulio, Marinella, Giuseppe, Antonio, Carlo, Jenny ed io) verso la meta. Stavolta nessuno ci poteva fermare. Arrivati al parcheggio sfoderiamo l’armamentario da sgavvo: massette, punteruoli, palanchini (grandi e piccoli), paioli e…TADAAAAA…il trapano nuovo nuovo che Giulio punta verso il cielo in una posizione da Freddie Mercury in “we will rock you” ed esclama “Ne stiamo arrivando!”.Carichi come muli iniziamo la salita. Le soste pian piano iniziano a dilatarsi. Zio Giulio, col suo zainone militare stracarico, si appoggia ogni tanto a qualche ramo: “Occi babbai!” sono le sue uniche parole. Io penso “gna faccio” ma soffro in silenzio col palanchino sulle spalle. Arriviamo finalmente a destinazione e tutta la stanchezza passa in un attimo. Senza indugio procediamo con l’opera: Carlo, Antonio e Jenny si adoperano al disboscamento. Ogni tanto vedo il cavunazzu a qualche centimetro da me. Carlo zacca sciabolate a destra e a manca…mi allontano per sicurezza. Anche io ho voluto provare ma l’unica cosa che mi è riuscita è un tentativo di amputazione: al primo fendente il cavunazzu è partito verso il basso sfiorandomi la gamba e lasciandomi per qualche secondo in uno stato di letargia sensoriale post atomica. Ripresomi, faccio una preghierina a Gianfranco F. per avermi protetto in quel momento. Meno male che non mi hai visto, dopo avermi dato lezioni di cavunazzu!. Inizia la sinfonia di trapano e massette. Durante la mattina riusciamo a spostare un macigno che ostruiva l’ingresso. Applichiamo poi la tecnica “Marinella a tanaglia”: Mari si infila dritta nel buco e a tipo criceto si porta tutti i sassi verso di se, afferrandoli in una stretta micidiale. Nel mentre uno di noi la tira per le gambe. Geniale! Decidiamo di attaccare la montagna anche in un altro punto, non distante dall’ingresso principale. Ci ostiniamo a sfilare un masso utilizzando una tecnica avanzata di combinazione corda-fix-palanchino. Funziona: togliamo un pietrone a forma di dente di tirannosauro. Sotto c’era solo terra ma abbiamo fatto un po’ di pratica. Ci raggiunge Alberto che nella foga di Giulio nello smussare una roccia, si è beccato una mazzata in fronte. Se poi ha detto “non ci capisco più una mazza” aveva ragione!Decidiamo di battere ritirata e riscendiamo verso valle. Prima di contoniare ci fermiamo al bar per qualcosa di caldo. Nel mentre parliamo dell’indomani, favoleggiando sui possibili collegamenti con la Rana e le Quarziti. “Sicuramente ci sarà un bivio: a sinistra per le Quarziti e a destra per la Rana”. Pensiamo anche di predisporre un cartello da mettere all'ingresso che indichi le due vie. Poi capiamo che tutte quelle vibrazioni di massetta e trapano ci avevano alterato il raziocinio per cui ripartiamo verso casa.L’indomani siamo diretti nuovamente lì, assieme agli amici dell’USC. Siamo un reggimento di speleologi: 19 individui o pseudo tali. Raggiunta la grotta sguinzagliamo Valerietta che parte dentro il tunnel e assieme a Marinella liberano i primi metri di strettoia. Nel mentre, nel pozzettino a destra, quello del dente di dinosauro, si procede con cricchetto, gandalf ed altre manovre varie per estrarre un secondo macigno. Operazione ben riuscita ma sotto ancora terra. Cambio squadra nel buco con Giacomo e Robigheddu in tandem che avanzano con decisione nel tunnel.Passa del tempo…alcuni si dirigono verso il campo allestito da Paolo M. che ha curato anche il settore culinario (in tutti i sensi). A fine giornata la grotta era ancora inaccessibile ai più, sebbene l’interno prometteva bene con una notevole circolazione d’aria. In tarda serata mi avvicino mesto e solitario all’ingresso. Osservo impotente la cavità e mi sovviene un ritornello “Sono fuori dal tunnel le le le del divertimentoooo”; in preda al delirio attacco l’ingresso a colpi di palanchino. Arrivano Carlo, Antonio, Jenny e Aldo in sostegno e liberiamo ancora un po’ l’entrata con soddisfacenti risultati. Ma non c’è scampo: si deve passare al piano B. Giulio costituisce la Digger Team e la prossima settimana si inizierà con l’artiglieria pesante. …to be continued